Niente fotografie

 [Anke Merzbach]

La fotografia è un imbroglio, un trucco fraudolento. Ne sono convinto. Esagero? Cercherò di convincerti, di metterti in guardia, seguimi.
La fotografia è arte visiva, come la pittura di cui è figlia vuole creare un’immagine del reale che osserviamo, ma mentre di fronte ad un quadro riconosciamo implicitamente che quello che stiamo guardando è l’interpretazione che l’autore ha fatto della realtà, nella fotografia questo non è percepito con altrettanta immediatezza, ed ecco l’imbroglio. Essendo il prodotto di un processo semi-automatico fatto attraverso un apparecchio elaborato siamo portati a pensare che quello che vediamo stampato su carta o su un qualunque altro supporto, non sia una mistificazione ma una asettica e fedele riproduzione della realtà.
Ma andiamo !
Quella faccia di bimbo paffuto, gli occhi sgranati in una espressione ebete che da anni rimane in bella mostra sul mobile nel salotto di tua madre non sei mica tu. Ti ci riconosci per consuetudine ma se ti ci soffermi un attimo riconoscerai che non sei tu. Guarda possiamo anche convenire io e te, se non vogliamo essere estremamente radicali, che tutt’al più quella può essere una rappresentazione evocativa di quello che sei stato un tempo, in un momento. Già, un momento… Ed ecco il subdolo convincimento in cui ci induce la fotografia. Una fotografia oramai rappresenta nel senso comune la cattura di un istante e il suo uso comune e diffuso ci conduce a pensare che la nostra vita è una successione di fotogrammi. “Ho visto la vita la la mia vita riavvolgersi davanti agli occhi come un film” oppure “abbiamo fatto la fotografia della situazione”, sono modi di dire e quindi di pensare che conferiscono alla fotografia un potere oggettivante che non ha. Niente di più sbagliato in questa concezione del tempo che scorre in una successione di fotogrammi, già ci ha sbattuto Zenone che con i suoi simpatici paradossi ci ha suggerito qualche migliaio di anni fa che il tempo che scorre dinamicamente non è riconducibile ad una sequenza di statici momenti. La fotografia ci fa vivere tra ombre, ci fa scambiare la rappresentazione con il reale. Penso poi che questo pericolo sia cresciuto con l’avvento della fotografia digitale.
Dai non alzare il sopracciglio perplesso, se mi hai seguito fino qui puoi ancora leggere qualche riga prima di abbandonarmi.
Dicevo .. Finché la tecnica fotografica era “analogica” tra lo scatto e la visione dell’attimo passava il tempo dello sviluppo, che anche se usando una Polaroid era di qualche minuto comunque separava il momento dello scatto dalla visione dell’immagine impressa, ci lasciava quindi percepire il procedimento di sedimentazione dell’attimo presente che diventava l’attimo passato, il vissuto si faceva ricordo. E qui arriva l’aspetto triste nell’uso della foto, il sacrificio dell’attimo fuggente braccato e freddato dal diabolico dispositivo fotografico. Sarà capitato anche a te, paziente lettore che sei arrivato fin qui, di partecipare ad una festa di compleanno. Lo stesso discorso si può fare per qualunque manifestazione degna di essere immortalata (già questo termine dovrebbe metterti in guardia), ma a me piace citare il caso del compleanno. Adesso ad una festa di compleanno al momento del fatidico spegnimento delle candeline accade che su 20 presenti 15 son pronti con macchinette o telefonini in aria a immortalare il momento, si può arrivare anche a percentuali più alte in cui l’unico a non fotografare sia quello che soffia le candeline. Ebbene, che significa questo ? Che la maggior parte dei presenti sta già vivendo un ricordo, mi verrebbe da dire più che presenti erano presenti perché stanno  trasformando un compleanno in una commemorazione, l’attimo fuggente punto di frontiera inesprimibile del futuro che si fa passato viene violentato dalla nostra cinica fretta, appiattito, trascurato.
Non lo fate, non fotografate, vi prego.

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16 risposte a Niente fotografie

  1. biondograno ha detto:

    …così non si evoca con un semplice dire…
    e noi le chiamavamo pur “semplici” fotografie…

    la parola ha un fascino diverso… vero. Lì restiamo eternamente bimbi, eternamente vecchi, eternamente donne, eternamente uomini.

    un abbraccio..
    m.

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  2. Bizzarra ha detto:

    Se a questo aggiungiamo che siamo gli occhi che ci guardano , multiforme apparenza di ciò che di continuo viene rappresentato dalla macchina fotografica dei nostri sensi e dei nostri cervelli, potremmo arrivare a dire: Non lo fate, non guardate, vi prego.
    🙂

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  3. germogliare ha detto:

    “Ciò che la fotografia riproduce all’infinito ha avuto luogo una sola volta: essa ripete meccanicamente ciò che non potrà mai più a ripetersi esistenzialmente. In essa, l’avvenimento non si trasforma mai in altra cosa: essa riconduce sempre il corpus di cui ho bisogno al corpo che io vedo; è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana, spenta e come ottusa, il Tale, in breve la Tyché, l’Occasione, l’Incontro, il Reale nella sua espressione infaticabile.” La camera chiara, Roland Barthes
    La fotografia come arte visiva è quella in cui inserisci le tue foto sul comò, quelle di compleanno?
    2 modi, comunque documento della memoria. Ci vuole esercizio e cultura per fotografare l’anima. Ci vuole una macchinetta fotografica per ricordare un compleanno.

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  4. LaSediA ha detto:

    senza parole per la “fotografia” che hai fatto…

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  5. m0ra ha detto:

    Hai inserito un’opera della Merzbach che usa una tecnica mista, foto più elaborazione digitale. Alcune opere le trovo ad alto impatto emozionale, cariche di simboli. La foto è anche un’arte, l’imprimersi dell’immagine a volte parla più che il soggetto stesso, dipende da quello che il fotografo “vede” nella persona e nella situazione. Alcuni ritratti per esempio. Non svilirei così il ricchissimo mondo della fotografia. Posso essere d’accordo sul vivere le situazioni importanti costantemente dietro un obiettivo, prendendo da queste una distanza formale. Non si può essere totalmente calati nel contesto quando si fotografa, si è osservatori.

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  6. rodixidor ha detto:

    Sapevo che il tema avrebbe suscitato le vostre acute riflessioni di cui vi ringrazio.
    Vero, ci vuole un anima per fotografare un’anima.
    Vero, l’osservatore è nella foto che scatta.

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  7. Comunque hai ragione eccome… Fotografare a volte ci deresponsabilizza. Fatto! Ho inscatolato il ricordo, posso passare allo scatto successivo.
    Come diceva Flaiano: tutta sta gente che viaggia solo per portare fotografie a casa… Bella osservazione, complimenti.

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  8. paulabecattini ha detto:

    Ci sono situazioni in cui non amo fotografare.
    Una di queste è proprio alle feste di compleanno… perché percepisco che l’osservare la situazione attraverso l’obiettivo per cercare di “catturare” l’attimo, fa sì che questo atto rubi alle mie percezioni altre sensazioni.
    Insomma… è vero che ci vuole anima (e aggiungo bravura, sensibilità, ecc.) per fotografare un’anima; ma è anche vero che a volte conviene mettere da parte la macchina fotografica per godersi quel che sarà un ricordo impregnato anche d’altro, come un profumo, un brivido, un’aroma…
    Fotografiamo sì, ma in giusta misura… E lo dice una che adora fotografare.
    Grazie di tutto!

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  9. rO ha detto:

    Ho la macchina fotografica sempre nella borsa, però dono d’accordo quando dici che un secondo dopo non siamo più la stessa persona.

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  10. Antippa ha detto:

    Molto interessante e devo dire che l’ho dovuto rileggere due volte: una per piacere, l’altra per capirne l’essenza.
    A parte l’ironia della scrittura (che mi è piaciuta molto!), mi ha spiazzato la filosofia di fondo, ma non posso fare altro che condividerne molti punti per cui sono pienamente d’accordo!

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  11. lallaerre ha detto:

    quell’obiettivo che si sostituisce all’occhio, alla presenza, alla partecipazione, all’emozione… come tutto oggi, d’altronde, soppiantato dallo strumento tecnologico. Sospetto che oggi piaccia tanto fare fotografie perché si “ama” lo strumento con cui farle, si ha con esso un rapporto simbiotico e non si ha rapporto con niente altro, men che mai con la propria esperienza di una qualunque situazione.

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